B. Sanguineti

B. Sanguineti: eravamo quattro amici al bar di M. Borzone

Qualche volta il tempo aiuta: sono passati quasi 25 anni dal mio incontro con Bartolomeo Sanguineti e, da allora, gli anni ‘50 sono stati rivalutati; era difficile prevedere un revival così deciso (oggi qualsiasi poltrona di quegli anni, purché “moderna”, spunta valutazioni incredibili in asta), ma è accaduto.

Visitai il suo studio in via Gagliardo a Chiavari in occasione della mostra La natura e la visione. Arte nel Tigullio 1950 – 1985 (Palazzo Rocca e ex chiesa di S. Francesco, Chiavari 20 feb. – 7 mag. 1995), per occuparmi degli artisti della generazione “di mezzo”.

Era all’ultimo piano, luminoso e ordinato, con una finestra che si riconosce in molti dipinti, e un fascio di opere su carta sul tavolo al centro della stanza, una più interessante dell’altra; venne anche mio padre Paolo, suo vecchio amico, e trascorremmo un pomeriggio pieno di idee, immagini, colori e ricordi.

Definito schivo e chiuso, Sanguineti mi comunicò una sensazione opposta, a dispetto dell’età e della malattia: sotto la cenere covava il fuoco, Bertolito (per gli amici, da pronunciare Bertolitto) aveva molto da dire, era curioso come un ragazzo e viveva una sorta di doppia vita artistica. Gli oli di quegli anni si rifacevano ad Arturo Tosi e agli artisti del periodo fra le due guerre, in un clima postimpressionista, mentre i disegni (conté, pastelli, qualche acquerello) raccontavano tutt’altro.

Anziché paesaggi o nature morte, nelle carte era la figura a prevalere, affrontata con forza e segno deciso; il suo senso dei volumi e la tendenza alla deformazione ricordavano Marino Marini. Forse erano, più o meno inconsciamente, bozzetti per sculture, mai eseguite per le difficoltà, anche economiche, insite nello scolpire.

Eppure la scultura non gli fu estranea; ad esempio, nel 1935 Francesco Messina vinse il concorso per il Monumento a Cristoforo Colombo sul lungomare di Chiavari destinato a subire, insieme al Monumento a Costanzo Ciano (1939, La Spezia, Museo Navale), l’inevitabile damnatio memoriae del dopoguerra, per i legami col fascismo.

Allora Sanguineti era un ragazzo di una ventina d’anni innamorato dell’arte, e dovette rimanere colpito dalla potenza plastica di Messina, in quegli anni a Sestri Levante, amico di Giovanni Descalzo (poeta e letterato, Sestri Levante 1902 – 1951). Questi fu a sua volta in contatto epistolare con la maggior parte degli artisti del Tigullio: potrebbe quindi risultare utile una ricerca su Sanguineti nell’Archivio Descalzo, presso la Biblioteca della Società Economica di Chiavari.


Ma per capire Sanguineti è necessario tornare agli esordi della sua attività artistica, negli anni ‘40, e tentare di ricostruire l’ambiente nel quale si formò e visse. Fu allievo di Perissinotti (Oderzo 1897 – Chiavari 1967) come molti altri pittori chiavaresi della sua generazione, e del maestro mantenne fino alla fine il linguaggio sostanzialmente postimpressionista, pur rivolgendosi in momenti diversi all’Astrazione e al Chiarismo. In questa rassegna la svolta astratta di Sanguineti inizia con Senza titolo del ‘47, dai toni scuri e caldi, dove è riconoscibile una stufa a legna, destrutturata e ispirata al Cubismo Sintetico; fu un abbandono temporaneo del
Postimpressionismo e della sua luce, qui negata in modo palese e sottilmente polemico, per essere ripresa in seguito.

La grande svolta fu determinata dalla mostra Astrattisti piemontesi e liguri (a cura di Guido Le Noci, Galleria Bompiani, Milano dal 30 dic. 1950), esperienza determinante per l’artista trentaquattrenne che si incaricò di diffondere il verbo astratto nel Tigullio. Ho dovuto combattere (e ho perso), ancora di recente, per abbattere pregiudizi artistici duri a morire, quindi immagino le difficoltà di Sanguineti in un’epoca in cui l’Astrazione era avversata dai conservatori, perché eccessivamente “avanti” e antiaccademica, e dalle sinistre,
in quanto nata negli anni ‘30 sotto il regime, e troppo difficile per le masse, che dovevano trovare, invece, nel Realismo socialista il loro credo estetico.

Non andò così. Sanguineti, garbato e caparbio, riuscì ad attrarre nella sua orbita tre colleghi. Così racconta Luiso Sturla, uno di loro: «Dovevo successivamente fare architettura, mi ero iscritto a Torino e avevo fatto un anno, però poi ho incontrato qui a Chiavari due “delinquenti” molto bravi, Bartolomeo Sanguineti, che faceva il falegname, ma era un bravissimo pittore astratto, molto colto, e Vittorio Ugolini; ho cominciato una frequentazione con loro. Ma non c’eravamo solo noi: in quel momento a Chiavari – parlo del ’48 – ’50, appena dopo la guerra – c’era tutta un’aria novecentista che si era formata proprio lì, e che ci portava a interessarci di ciò che accadeva in Europa, a conoscere; avevamo fame di conoscere (“Era superba”, Genova 1 ago. 2012)».

Luiso è nei miei ricordi d’infanzia: faceva visita ad Adriana Dentone, cugina di mia madre, alto, con la sua allure da pittore maudit, ma non troppo; io ascoltavo molto, capivo poco o niente, ma sentivo che c’era qualcosa, e i suoi quadri grigi astratti mi piacevano. Di quegli anni Luiso ha conservato tutto: l’allure, la simpatia, l’affetto verso i vecchi amici chiavaresi, il calore umano, la generosità, la voglia di fare, l’essere charmant con mia madre ormai in sedia a rotelle.

L’altro, Vittorio Ugolini (Bologna 1918 – Chiavari 2006), era l’opposto di Sturla: basso, con una voce acuta e lamentosa, fu mio collega all’Istituto d’Arte di Chiavari: era capace di impuntarsi per giorni sull’adozione di un testo di storia dell’arte, temendo qualche dietrologia; acuto e critico, non amava raccontare il suo passato (era figlio di un antifascista perseguitato dal regime, come raccontava mio padre). Lo invitai a partecipare a La natura e la visione, ma si defilò, voleva essere dimenticato; lo inserimmo lo stesso. Colsi un lampo di nostalgia quando gli riferii dei miei incontri con Frunzo (La Spezia 1910 – Roma 1999), responsabile MAC Liguria), e lui rispose, con l’amarezza che gli era propria: «ma allora a Spezia i pittori si riuniscono ancora: beati voi, qui non c’è più niente».

Con Sturla, partecipò a La natura e la visione anche Rodolfo Costa (Chiavari 1925 – Sestri Levante
2005), cordiale e pieno di entusiasmo, che mise a mia disposizione il suo prezioso archivio. I quattro formarono nel ‘53 il Gruppo dei pittori del Golfo; con l’appoggio dell’architetto Alberto Galardi e del critico Enotrio Mastrolonardo organizzarono la Mostra Italiana d’Arte Contemporanea nell’ambito della Mostra del Tigullio (Palazzo dei Nuovi Uffici, Chiavari 1-19 luglio 1953), dove esposero artisti come Campigli, Cassinari, De Grada, De Pisis, Lilloni, Marussig, Messina, Morandi, Sassu, Sironi, Soldati, Tosi e Verzetti. Fu un evento di portata nazionale, ma, per un errore “virale”, nella maggior parte dei siti web (e non solo) Sanguineti non viene citato nel Gruppo dei pittori del Golfo: ne fu, invece, iniziatore e motore, nonché segretario della Mostra.

Anche Alberto Galardi frequentava Adriana Dentone, e di quel periodo mi rimane la sensazione di qualcosa di irripetibile: la jeunesse dorée del Tigullio partiva rombando sul maggiolone di Adriana, discutevano di esistenzialismo, erano giovani e frequentavano i locali à la page dove talvolta compariva Brigitte Bardot, ma ero troppo piccola per andare con loro (sono del ‘51).

Mastrolonardo, figura chiave del Levante ligure, nello stesso periodo fu anche il critico del Gruppo dei 7 spezzino (1948 – 1954, formato da Bellani, Carozzi, Carro, Giovannoni, Guaschino, Porzano e Frunzo). Non è possibile, per ragioni spazio, approfondire qui i legami degli artisti chiavaresi con Spezia, i Premi del Golfo dal ‘49 al ‘65, e con il M.A.C. (Movimento Arte Concreta, 1948-1958, fondato a Milano da Soldati, Dorfles, Munari, Monnet e Galvano), del quale fecero parte Sturla, Costa e Ugolini dal ‘53.

Sanguineti non volle entrarvi, e neppure volle spiegarmi le ragioni della sua mancata adesione, tuttavia basta osservare le opere di questa rassegna per capire ciò che accadde. Lavori di area M.A.C., come la composizione del ‘51 (che richiama la finestra del suo studio), o quelle del ‘54, l’una dai toni scuri stesi per campiture piatte, l’altra dai colori accesi e dai forti contorni neri, si alternano nei primi anni ‘50 a disegni di figure e cavalli praticamente monocromi, dai contorni evanescenti, e ad olii nebbiosi dalle tonalità chiarissime.

Del resto, la sua affermazione «sono stato il primo a fare l’astratto e il primo a mollarlo» indica un percorso complicato e doloroso; le figure, tridimensionali e sfumate per suggerire il movimento, a tratti richiamano il movimento di Corrente (rivista fondata da Ernesto Treccani nel 1938), o, perlomeno, alla sua ultima fase come Fronte Nuovo delle Arti. Non a caso, due furono gli artisti di Corrente presenti nel Tigullio: Bruno Cassinari (Piacenza 1912 – Milano 1992), a Cavi di Lavagna e a San Salvatore di Cogorno dal ‘51 al ‘53, e Sandro Cherchi (Genova 1911 – Torino 1998), che nella galleria Genova e L’Isola da lui diretta organizzò nel ‘47 una personale di Sanguineti.


Per La Natura e la Visione, a Rapallo incontrai Cherchi, ottantaquattrenne, scoppiettante di vitalità, accattivante e vivace come un ragazzino, che mi descrisse la sua posizione di totale dissenso rispetto al M.A.C. e al Premio del Golfo spezzino, mentre nel suo garage di Rapallo spostava le sculture di terracotta come fossero di polistirolo (aveva un passato da pugile).

Sanguineti fu attratto nella sua orbita, al punto da stilare il manifesto e lo statuto di un’Associazione che non a caso volle chiamare Nuova Corrente, e che, purtroppo, non ebbe seguito. Sanguineti non si può definire novecentista, la sua pittura è troppo fluttuante, le sue figure vaghe, eppure qualche contatto con il Novecento traspare nel suo modo di dipingere, come ad esempio in una natura morta del ‘70, dove la tovaglia rosso arancio fa da protagonista.

Tra il ‘24 e il ‘25 soggiornò infatti a Chiavari Achille Funi (Ferrara 1890 – Milano 1972), autore di marine malinconiche chiavaresi, nonché insegnante a Brera di Dora Roccaforte, pittrice e scultrice chiavarese raffinata e quasi del tutto dimenticata (fu lei a insegnarmi la copia dal vero); le sua nature morte, eseguite sotto la guida del maestro, sono molto vicine a quelle di Sanguineti. Il quale, da artista tormentato e curioso quale era, non si legò mai ad un’unica tendenza: alla Mostra d’arte contemporanea del ‘53 partecipò infatti Umberto Lilloni (Milano 1898 – 1980), con un passato da ebanista come Sanguineti. A Chiavari tra il ‘34 e il ‘37 Lilloni fu uno degli esponenti più in vista del Chiarismo, movimento in contrapposizione col novecentismo fino dal ‘35, che consisteva nel dipingere su fondo bianco non ancora asciutto con colori tenui e sfumati.

Non ci sono dubbi: a partire dagli anni ‘50 una parte della produzione artistica di Sanguineti può definirsi chiarista, ma Bertolito non rimase un caso isolato: Frunzo, dopo la fiammata M.A.C., iniziò una fase più intimista, dai contorni sfumati e dai colori sempre più tenui, e anche la tavolozza di Ugolini si adeguò al credo chiarista; con loro molti altri pittori, compreso lo stesso Sturla, abbandonarono le laccature, le superfici
piatte e i margini definiti del M.A.C. per un informale naturalista poco aggressivo.


Rividi i suoi lavori (un’infinità) mentre collaboravo al volume Bartolomeo Sanguineti (a cura di F. Canale, Chiavari 2000), voluto da sua moglie Alice, ma, senza di lui, non fu più lo stesso.

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